ELEZIONI EUROPEE 25 MAGGIO 2014
Domande e risposte sull’Europa 4° parte
Lavoro
E’ vero che
le riforme del lavoro, come quella della Ministra Fornero, ce le ha ordinate la
Commissione Europea?
No, la Commissione Europea non ha le competenze per “ordinare” ad un Paese
di fare una riforma. La sovranità sulle politiche del lavoro e del welfare
rimane agli Stati nazionali. La Commissione Europea può però fare pressioni
politiche, “raccomandando” delle linee di azione sulla base delle migliori
pratiche esistenti in Europa. In questi anni la Commissione non ha chiesto
all’Italia di liberalizzare brutalmente il mercato del lavoro. Le ha
raccomandato di eliminare la discriminazione tra il lavoro tipico e quello
atipico, di tappare i buchi degli ammortizzatori sociali, di mettere insieme
dei servizi funzionanti per l’impiego, di combattere le discriminazioni contro
le donne nel lavoro. Nel 2010, il Parlamento Europeo ha anche mandato un
ammonimento ufficiale all’Italia (una risoluzione)
per spingerla a creare uno schema di reddito minimo, unico Paese in Europa ad
esserne privo.
Com’è
possibile evitare che Paesi come la Croazia o la Romania facciano concorrenza
all’Italia puntando sui loro salari bassissimi?
L’Europa non può intervenire direttamente per alzare i salari nei Paesi
dell’Est. Ricordiamoci che questi Paesi hanno salari bassissimi perché hanno
economie poco sviluppate e con ancora alti livelli di povertà. L’Europa può
promuovere degli standard minimi comuni al di sotto dei quali nessun lavoratore
possa essere impiegato. Già lo fa (parzialmente) con regole comuni su lavoro
atipico, orario di lavoro, regole per lavoratori distaccati all’estero, diritto
al mantenimento dei diritti previdenziali in tutta Europa. La sfida è alzare
questi standard, proporre nuove regole comuni a livello europeo, perché anche
gli standard sociali più bassi si alzino ai nostri livelli, così come i nostri
livelli di protezione si devono alzare a quelli della Svezia o della Danimarca.
Cosa ha
fatto l’Europa per combattere la disoccupazione dei giovani in Italia?
La Garanzia Giovani è al momento
il programma più incisivo. Con questo strumento, sebbene le dotazioni
finanziarie siano ancora da migliorare, l’Unione Europea ha fatto impegnare gli
Stati a mettere in piedi servizi capaci di offrire ai giovani tra i 16 e i 29
anni una concreta opportunità di lavoro, formazione professionale, istruzione o
stage entro 4 mesi. Grazie ai Fondi Europei, l’Italia riceverà €1.5 miliardi
nei prossimi due anni per finanziare questi servizi, rivolti esclusivamente ai
giovani. La Garanzia Giovani è una goccia nel mare, è vero. Da sola non basterà
a risolvere i problemi di quasi 5 milioni di giovani italiani senza lavoro. Ma
è uno stimolo potente a fornire quei servizi di assistenza e di reinserimento
ai disoccupati che l’Italia non ha mai avuto. Ci sono tantissimi altri
programmi concreti che sono poco conosciuti per disinformazione e perché hanno
un budget risicato. Uno è molto noto ed è l’Erasmus. Esistono anche un Erasmus
per Giovani Imprenditori, il Servizio Civile Europeo e altri strumenti di
micro-finanziamento.
Quali
iniziative potrebbe prendere l’Unione Europea per migliorare la protezione dei
lavoratori?
Da tempo si discute di istituire un sussidio
di disoccupazione europeo. L’Unione Europea finanzierebbe un primo sussidio
per chi perde il lavoro della durata di alcuni mesi, a cui gli Stati potrebbero
aggiungere ulteriore protezione. In questo modo, gli Stati con una situazione
economica migliore offrirebbero solidarietà concreta ai lavoratori degli Stati
che stanno peggio. Si parla anche di istituire un salario minimo europeo. L’Unione non ha però alcuna competenza per
agire sui salari che sono responsabilità delle parti sociali e dei governi
nazionali. La proposta più concreta è quella che l’Unione fissi una regola
comune affinché il salario minimo nei singoli Stati non possa scendere al
disotto di una determinata soglia nazionale, ad esempio che nessun lavoratore
possa prendere meno del 60% del salario medio del proprio Paese. Infine, esiste
già un diritto del lavoro europeo con
delle regole uguali per tutti i lavoratori in qualsiasi Paese. Ad esempio, i
lavoratori con i principali contratti atipici (a tempo determinato, parziale,
gli interinali) devono avere pari trattamento con i lavoratori a tempo
indeterminato e a tempo pieno; i licenziamenti collettivi non possono avvenire
senza la consultazione dei sindacati e senza un piano sociale; l’orario di
lavoro non può superare 40 ore settimanali. Nel futuro dobbiamo però estendere
le tutele europee in altri ambiti, per esempio fare delle regole comuni sui
licenziamenti individuali, regolare il falso lavoro autonomo, non permettere
gli stage non pagati.
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