giovedì 19 novembre 2009

Riaperta d’urgenza
la Repubblica di Salò
di Marco Travaglio


Ieri il piccolo duce ha smentito di aver mai pensato
alle elezioni. Dunque, vista la sua innata sincerità,
ci sta pensando seriamente. Per ora manda avanti
l’apposito Schifani, ventriloquo da riporto, per
vedere l’effetto che fa. Perché lo faccia, è lampante:
come nel 1992 il crollo della Prima Repubblica ne
scoperchiò la scatola nera sversando i liquami di
Tangentopoli e Mafiopoli, così ora salta il tappo della
cloaca politico-affaristico-mafiosa denominata Seconda
Repubblica. Le tubature non tengono più, i miasmi si
spandono dappertutto. E non passa giorno senza che
questa o quella procura s’imbatta, anche
involontariamente, in un condotto della Fogna delle
Libertà. In Campania l’arresto di Cosentino & C. A
Palermo Spatuzza, Grigoli e Ciancimino jr. parlano di
Dell’Utri e Berlusconi ai tempi delle stragi e delle
trattative. In Puglia c’è Giampi col suo harem di escort
bipartisan. A Milano mister Grossi, re delle cosiddette
“bonifiche ambientali”, è in carcere con la moglie del
vicecoordinatore nazionale del Pdl Abelli, e dietro la
porta gli amici Formigoni, Lupi, Gelmini e Berlusconi
tremano all’idea che qualcuno parli. Intanto saltan
fuori gli altarini della Arner, la banca svizzera usata da
noti mafiosi per riciclare soldi sporchi (indovinate di
chi è il conto corrente numero 1). Non c’è “d i a l o go ”,
riforma della giustizia, processo breve o morto,
prescrizione-lampo che sia in grado di fermare l’onda
nera. Il dialogo fa le pentole, ma non i coperchi. E non
c’è coperchio che possa richiudere il pentolone.
Qualcuno a questo punto obietterà che, al ducetto, le
elezioni servirebbero a poco: guadagnerebbe un po’ di
tempo e, casomai le rivincesse lui, si libererebbe pure
di Fini, ennesimo nemico interno dopo il Bossi
modello-base, Follini, Casini e Veronica. Peccato che
Fini oggi sia popolare almeno quanto lui (infatti i
sondaggi sono miracolosamente scomparsi dagli house
organ, che fino a due mesi fa ce ne rifilavano tre al
giorno). Ma non c’è più nulla di razionale nel disperato
agitarsi di questo pover’ometto in perenne fuga dal suo
passato. Come Hitler nel bunker e Mussolini a Salò, il
ducetto è solo, assediato dai suoi incubi e circondato di
servi sciocchi (quelli furbi sono in fuga da un pezzo).
Una Salò all’amatriciana, anzi alla puttanesca: al posto
dei giovanottoni sadomaso di Pasolini, le girls di
Tarantini. Roberto Feltrinacci incita alla pugna finale
ripetendo a pappagallo la pietosa bugia: “Il popolo è
con Te, o Duce, dall’Alpi al Lilibeo, ma non osa
manifestarlo e ti adora in silenzio”. Il feldmaresciallo
Alfred Sallusting, cranio lucido e pallore nibelungico,
stretto nel suo impermeabile di pelle nera esorta
all’estrema resistenza, armi in pugno e baionetta fra i
denti. Il principe grigio Junio Valerio Belpietro, pancia
in dentro e mento in fuori, invoca lo spirito
sansepolcrista e la fucilazione di Galeazzo Fini e degli
altri traditori a Verona. Nicola Bombaccicchitto, l’ex
socialista passato a destra, lancia il cappuccio oltre
l’ostacolo, ma alla fine cade in disgrazia, sospettato di
collusioni con la massoneria per via della sua
collezione di grembiulini e compassi. Augusto
Pavonzolini, dal palazzo dell’Eiar, distrae le masse con
culi, tette e balle a volontà. Lo aiuta il figlio segreto del
Duce, tale Bruno, che è tutto suo padre e, mentre
l’impero crolla, parla a “Lupa a Lupa” delle orecchie dei
cani. Claretta Bondi, vinta la concorrenza di Angelica
Carfagnanoff, lacrima e si dispera giorno e notte,
pronta a tutto pur di fare da scudo all’Amato, anche a
intercettare col suo corpo le raffiche partigiane.
Intanto il dottor morte Niccolò Ghedini, curvo nel
laboratorio dell’impunità su provette, serpentine e
alambicchi fumanti, prova e riprova la formula
dell’arma segreta, che non arriva mai e, quando arriva,
non funziona. Disperso, al momento, il camerata
Capezzone. Ma niente paura: non lo cerca nessuno.

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