lunedì 26 ottobre 2015

Sella dell'Oca 2015









Sella dell’ Oca, ottobre 2015 
“Orazione in memoria di Mario Bernardelli e Giuseppe Zatti” 
Luigina Boemi




Non sappiamo quanti furono coloro che presero parte ai movimenti di resistenza nella nostra provincia, in Italia, in Europa, in quegli anni spaventosi quando la Storia presentava un conto terribile, fatto di una guerra planetaria, di regimi dittatoriali, di persecuzioni razziali, di diritti negati, di morte.

Non sappiamo quanti furono i militari ribelli, gli studenti, i giovani, gli operai e i contadini, i cattolici e i laici, i cittadini e gli abitanti delle valli e delle pianure, le donne che decisero con fermezza quale era la parte giusta, quale era la scelta da fare senza tentennamenti, senza dubbi.
Le loro infinite storie, spesso sconosciute, forse senza nome, quelle innumerevoli vite, fluirono davvero come un fiume inarrestabile, inarginabile, un fiume di energie, di abnegazione, di coraggio, di sacrificio, nella Storia, quella dei documenti e dei libri, quella maiuscola.

Quelle donne e quegli uomini alzarono lo sguardo sopra il recinto forse rassicurante del loro quotidiano, della loro individualità e colsero impellente la necessità di uscirne, di fare qualcosa, di agire, di dire di NO.
E non contarono differenze di istruzione o classe sociale, per trasformare la consapevolezza in azione, per agire là dove si poteva scorgere la possibilità, la speranza anche minima di cambiamento.
Quella speranza che non è l’attesa di eventi legati al fato o al caso, ma nasce dall’ impegno e dalla forza di reagire.
E quel fiume di vite, di costruttori di un’ Italia nuova, di pensieri, di intelligenze, di passioni, si tradusse in opposizione, in resistenza, in azioni di appoggio e collaborazione, in lotta armata.


Siamo qui, in questo luogo sospeso tra la pianura e le valli, un tempo abitato stabilmente, in una geografia di sentieri battuti da tagliaboschi, contadini, cacciatori, dai molti che si spostavano da una frazione all’altra, di cascina in cascina, dai monti del nord alle città e viceversa. Luoghi dove si sognò un’ Italia libera; luoghi che furono testimoni di accadimenti significativi della lotta partigiana di resistenza negli anni dal ’43 al ’45; luoghi di nascondigli possibili, di fughe, di battaglie e scontri, di pattugliamenti, di eventi tragici.
Eventi come quello che dà significato alla nostra presenza qui oggi, ancora oggi, dopo settantun anni.
Un evento minore se confrontato con la follia degli anni della seconda guerra mondiale, se raffrontato con i milioni di morti militari e civili, con i numeri spaventosi dell’ olocausto.
Certo un episodio secondario, appartenente alla microstoria, come un’ infinità di altri fatti, che però come le singole tessere di un mosaico sono in egual modo indispensabili per comporre l’intero.

Forse non sappiamo molto di Mario Bernardelli, da Chiari, classe 1924 e di Giuseppe (Luigi) Zatti, da Iseo, nato nel 1925: di certo sappiamo che erano molto giovani, il primo impiegato e poi operaio a Brescia, il secondo contadino, figlio di contadini.
Per motivi diversi, personali o di consapevolezza politica, lasciarono le loro famiglie esterrefatte, gli affetti, le loro case, e si unirono alla lotta partigiana, ai gruppi che operavano in Valle Trompia.

Sappiamo che il 26 ottobre del 1944, dopo uno scontro a fuoco, nei pressi di Camaldoli, furono catturati da una compagnia di brigate nere. Due giorni dopo furono trasferiti dalla Stocchetta, dove erano stati duramente interrogati tanto da essere ridotti in condizioni pietose, a San Giovanni di Polaveno e, attraverso il sentiero, senza risparmio di maltrattamenti e bastonate, portati qui a Sella dell’Oca, e fucilati, in una esecuzione sommaria e feroce.
Mario e Giuseppe non erano soli: un terzo prigioniero, un giovanissimo, venne risparmiato poiché Bernardelli si addossò tutte le responsabilità, sollevandolo da qualsiasi accusa e regalandogli così salva la vita.

Non sappiamo molto altro.
Vorremmo conoscere, per approfondire ed arricchire di ulteriori significati quel sacrificio, attraverso quali vie i due ragazzi decisero coscientemente, senza costrizione alcuna, di sospendere il pensiero sul loro futuro, smisero di immaginarlo, di immaginare progetti personali, per occuparsi del presente.
Compresero che quel presente storico superava il microcosmo della loro soggettività e scelsero di testimoniare con chiarezza da quale parte stare, per non sopportare più il fardello di subire in silenzio, per rinnovare il senso della propria vita e darle spessore attraverso un agire consapevole e determinato.

Capirono che in condizioni estreme, come quelle che caratterizzavano il mondo in quel periodo, non bastava un moto di disgusto, non erano sufficienti pensieri di disaccordo o stringimenti del cuore; fuggirono dal pericolo dell’indifferenza e della paura, compresero che il proprio esistere acquistava significato e valore solo attraverso i fatti e le scelte.
Sospesero dunque il pensiero sul loro futuro, Mario e Giuseppe, come altre migliaia di donne e di uomini, proprio perché un futuro fosse possibile, con la consapevolezza profonda che avrebbero potuto, in qualsiasi momento, pagare il prezzo più alto: perdere la vita.

E’ la loro storia, come infinite altre, che ravviva e dà senso alla storia ufficiale, quella dei libri e dei documenti; che dà senso alla memoria, una memoria che esce prepotentemente dall’ archivio dove trova collocazione il passato, che travalica la lontananza temporale e si riempie di significati anche per le nuove generazioni, per coloro cioè che appartengono ora al futuro.

Solo così la memoria parla, perde qualsiasi travestimento archeologico, diventa energia vitale e concorre, insieme alla conoscenza e al sapere (perché “chi non conosce il passato è destinato a ripeterne gli errori”) a formare e sviluppare in ciascuno di noi quei valori condivisi che appartengono ad una comunità, ad una cittadinanza consapevole.
E allora ecco perché la memoria di episodi che sembrano rimandare alla particolarità, come il sacrificio di Mario e Giuseppe, diventa indispensabile per mantenere vivi quei legami tra il passato, pur doloroso e tragico, e il nostro presente.

Non sappiamo molto altro di Mario e Giuseppe, eppure ci appartengono, come noi apparteniamo a loro,
eppure senza dubbio possiamo definirli eroi, di un eroismo necessario,
perché, non dimentichiamolo, il nostro presente è nato da infiniti eroismi simili.
Può esser fuori moda, anacronistico, parlare di eroi ed eroismi in una società come quella attuale in cui spesso gli episodi di egoismo e di individualismo senza controllo, caratterizzano quotidianamente la cronaca e gli accadimenti che coinvolgono intere nazioni.
Ecco un eroe è colui che guarda il mondo non con lo sguardo dell’ individualismo, ma con la coscienza di appartenere all’ umanità, di dover agire nel rispetto dell’ umanità e di valori condivisi e universali: valori di onestà, di impegno civile, di rispetto, di correttezza, di responsabilità personale, di legalità.
Perché non definire eroi, oggi, nel presente, coloro che spendono la loro vita per testimoniare la completa adesione a questi valori?
Perché non definire eroi tutti coloro che, come Falcone e Borsellino per esempio, hanno pagato il prezzo più alto per lottare, sempre, senza compromessi, contro i degradi, la corruzione, i ricatti, definibili nuovi fascismi, lottare contro l’assenza di riferimenti etici.
Eroi coloro che testimoniano quotidianamente valori di accoglienza per ridare dignità agli ultimi della Terra, per prendersi cura di quelli che vedono i loro diritti calpestati ogni giorno, cura di quella parte dell’umanità che molti fingono di non vedere, travolta da ingiustizie, da guerre e carestie.

Non sappiamo molto di Mario e Giuseppe, ma sicuramente anche loro, liberi da egoismi ed individualismi, ricchi dei loro riferimenti etici, hanno guardato il mondo con lo sguardo di chi non riesce a voltarsi dall’ altra parte, di chi è disposto a pagare il prezzo più alto, senza compromessi.

Qualcuno ha detto “La storia siamo noi, siamo noi questo piatto di grano”…
Mario e Giuseppe portavano in tasca, come ognuno di noi, una manciata di chicchi di grano: i loro talenti, la loro giovinezza, la speranza dei loro giorni e hanno scelto di seminarli perché dopo di loro fosse possibile un nuovo raccolto.

Nessun commento:

Posta un commento