martedì 28 gennaio 2014

Per amore delle mie sorelle




Dopo la visita  a Brescia del ministro Kyenge, durante la quale si è parlato di immigrazione, integrazione e criticità di questi processi, tanto per l'assoluta inadeguatezza delle risorse, quanto soprattutto per lo spirito oggettivamente punitivo e incapace di comprendere e risolvere i problemi, della brutta, bruttissima legge Bossi - Fini, che fortunatamente si sta cercando di superare, mi è tornato in mente uno dei tanti episodi che capitano a chi come me si è occupato come operatore del diritto del tema dell'immigrazione e ho cercato di metterlo sotto forma di racconto che qui vi sottopongo, ovviamente i nomi sono di pura fantasia.
PER AMORE DELLE MIE SORELLE

Said viene un giorno nel mio studio con il suo sorriso di gazzella timida. Suonando al campanello sbaglia e così, prima di arrivare finalmente a bussare alla porta giusta, bussa praticamente da tutte le porte del palazzo. Non tutti gli aprono, vedendo dallo spioncino questo marocchino barbuto e magro come stesse morendo di fame, che sembra uscito da una duna del deserto, ma con un ampio camice blu da tornitore, decisamente tutto sozzo.
Ma finalmente arriva.
Gli ha detto di venire da me un suo amico e connazionale che era dimagrito anche lui di dieci chili per i dispiaceri: dopo aver fatto la domanda di ricongiungimento con la giovane moglie, lasciata per anni in Marocco, attendeva da mesi e mesi che la situazione al Consolato Italiano a Casablanca si sbloccasse, ma inutilmente, e il nulla osta stava per scadere (avrebbe così dovuto ricominciare tutto da capo, quindi rischiava di non vedere sua moglie per un altro anno e mezzo almeno !). Era bastata nel suo caso una raccomandata in Questura per scoprire che un certo fax non era mai partito o non era mai arrivato, e così in poche settimane, era tornato da me a presentarmi la moglie finalmente arrivata, ma io stentavo quasi a riconoscerlo poiché era rinato a tal punto da essere davvero un altro.
Said ha lo stesso problema, ma con il visto per lavoro della sorella minore. Dopo aver trovato un datore di lavoro, dopo aver fatto le file di prammatica, Said le ha spedito il nulla osta ottenuto dalla Questura, ma quando Fatima si è presentata negli uffici di Casablanca per avere il visto, nessuno sapeva nulla di lei.            (Mauro Caliendo)

Said è preoccupatissimo. Anche se il nulla osta non è in scadenza, lui è teso, sorride come chi si sta sforzando di mantenersi calmo, ma in realtà freme e sta tremando dentro il suo camice blu.
Faccio partire la raccomandata (una fra le decine simili, senza le quali altrettante pratiche rimarrebbero definitivamente impantanate…).
Dopo qualche giorno, Said viene in studio radioso e sorridente (questa volta dal profondo del cuore) a dirmi che finalmente il nome di sua sorella è comparso nelle liste, e che quindi fra poche settimane Fatima arriverà in Italia.
Parliamo un po’. Said ha un viso che sembra un bambino al primo giorno di scuola, sembra un chierichetto (uno di quelli atipici, che non sono mai stati malandrini…).
Gli faccio una serie di domande di quelle che un avvocato sempre fa per valutare e soppesare il proprio cliente, per capirlo più di quanto egli stesso creda di stare rivelando o di essere in grado di non lasciar trasparire.
Diceva Lévinas che “incontrare un uomo significa essere tenuti svegli da un enigma”. Man mano che chiedo, si snodano le vie del racconto, come un percorso fra i deserti.
Per "convincer" il datore di lavoro a fare la richiesta per far lavorare e venire sua sorella, Said ha pagato 3.500 euro (sono quasi cinque mesi interi di stipendio, per lui). Altro che fiction !
Ma soprattutto, Said ha anche un’altra sorella. Nel 2000, per riuscire a farla venire in Italia, aveva preso un accordo con un amico: lui avrebbe sposato la sorella dell’amico, e l’amico avrebbe sposato sua sorella, e così entrambe avrebbero avuto la possibilità i venire in Italia. Quando già tutto era pronto, i rispettivi matrimoni celebrati giù in Marocco, l’amico scappa in Francia con un’altra ragazza, una francese, e lì la sposa, acquisendo la cittadinanza e decidendo di restare oltralpe. Fra l’altro, si rifiuta per un certo periodo di concedere il divorzio alla sorella di Said. Dunque, sua sorella maggiore adesso è senza possibilità di venire in Italia e senza possibilità di risposarsi in Marocco perché difficilmente troverebbe qualcuno disposto a prenderla in moglie a 37 anni e dopo questa storia.
Mi dice se c’è la possibilità di fare un ricongiungimento, anche tenuto conto del fatto che i tre fratelli sono ormai orfani da lungo tempo (la madre, malata di cuore, rifiutò di farsi operare in Francia dicendo che non voleva rischiare di morire lontano dalla casa dove erano nati e vivevano i suoi figli; il padre morì di dolore e vecchiaia qualche anno dopo…).
Mi dice che la fortuna di sua sorella è nelle mie mani visto che sono stato ‘fortunato’ la prima volta con l’altra sorella.
Vorrei sentire raccontare molto più a lungo. E si vede che lui ha bisogno (proprio bisogno) di raccontare. Così gli chiedo se, nonostante sia uomo, sappia cucinare la cucina marocchina e lui risponde che è bravissimo. Mi dice però che per fissare una cena o un pranzo deve parlare con la sua compagna.
Dopo aver penato a lungo per potersi separare dalla sorella dell’amico traditore, infatti, ha trovato una compagna Italiana, una ragazza madre con già due figli a carico a cui lui vuole un mondo di bene e che lo amano come un vero papà (infondo ha poco più del doppio dei loro anni !).
Dopo di che esita, gli si gonfiano gli occhi. Gli trema proprio il labbro come ai bambini quando trattengono di scoppiare in singhiozzi. Riesce appena a dirmi balbettando che adesso ci sono problemi anche con la sua compagna, che lui non si spiega perché. Che i figli in realtà lo vogliono con loro, ma lei sembra abbia solo voglia di litigare.
Riesce con qualche sforzo a ricomporsi subito. Ci salutiamo e lo spazio davanti alla scrivania quando torno a sedere mi sembra vuoto. Anzi, mi sembra come il letto di cenere dopo che si è spenta la fiamma: ancora è caldo, fumante, e trattiene il ricordo della luce di poco prima.
La mancanza creata dalla interruzione del racconto si materializza dopo appena un minuto. Suonano di nuovo. E’ di nuovo Said. Entra impacciato, quasi pauroso, non sa come dirlo, ci prova: non c’è per caso qualche problema perché mi ha rivelato il fatto dell’aver pagato i 3500 euro per la questione di Fatima, o per il fatto del doppio finto matrimonio ?
Questo timore mi sconvolge. E’ il rimorso (ingiustificato) che può avere solo chi ha conosciuto unicamente le vie del bene e della onestà. Solo chi si è comportato sempre come se di ogni gesto, di ogni parola, di ogni pensiero avesse dovuto rendere conto al cospetto della propria mamma benedetta.
Mi rendo conto che quest’uomo, che sembra un fanciullo cresciuto, ha scolpito nell’anima e ha sempre praticato il precetto di S. Paolo: “I vostri pensieri siano noti a Dio” (Fil. 4, 5). Per un Maestro, questo versetto significa che bisogna avere soltanto pensieri di verità.
Avrei potuto (dovuto) rispondere che a un avvocato si dice tutto, che bisogna dirgli tutto solo per farsi difendere meglio, che per un avvocato è normale sentirsi dire le cose più immonde (ma guai a lui se ci si abitua…).
Ho risposto invece a Said con una domanda: gli Imam non sono pure dottori della legge, come qui lo sono gli avvocati? Si. E tu avresti mai paura di confessare a un Imam il bene e il male che fai se lui ti ascolta sforzandosi di essere segno tangibile dell’ascolto di Dio ? No. E Dio non è forse dolce e comprensivo come una mamma ? Si.
Adesso si è calmato. Mi dice che mi preparerà una cena marocchina davvero speciale. Lo guardo, non ho davvero il coraggio di dirgli che non amo particolarmente la cucina africana e gli dico:"chiamami quando vuoi...."
Non credo che il suo Dio si sia offeso perché l'ho paragonato ad una mamma!
 
Mauro Caliendo

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